a cura di Ubaldo Rodari
testo e presentazione di Claudia Corti
La mostra
Claudia Corti
Viaggio negli abissi della perfezione: il paradosso di Piranesi
“Si vedrà cosa può produrre la testa di un matto che non ha nessun fondamento”! A scrivere questo commento Luigi Vanvitelli, architetto della reggia di Caserta, una carriera ormai consolidata nella Roma papalina del 1700; il matto in questione, invece, si chiama Giambattista Piranesi, ha poco più di vent’anni e una carriera tutta da costruire quando emigra a Roma da Venezia, poca esperienza e tanta ambizione, negli occhi la meraviglia delle vedute e dei capricci di Canaletto, Guardi e Ricci, veneti come lui, ma anche delle rovine archeologiche di cui il mondo della cultura sta iniziando a comprendere l’importanza.
Architetto, archeologo, pittore, designer ante litteram: sono questi i tratti salienti di una personalità fantasiosa ed eclettica che trova la sua vocazione nell’incisione, unica arte che gli consente di esprimersi liberamente dando sfogo ai suoi pensieri e desideri più reconditi.
E mentre Roma alla metà del secolo si appresta a divenire il fulcro di un nuovo movimento artistico, il neoclassicismo, le cui architetture luminose di lì a poco prenderanno piede in mezzo mondo, Piranesi ci accompagna negli abissi bui delle Carceri, più simili a gironi danteschi che alle prigioni di Castel Sant’Angelo o al Mamertino. Luoghi strani, cupi e misteriosi, spaventosi e al tempo stesso affascinanti; sedici acqueforti, sedici ambienti, sedici percorsi in bilico sul fragile abisso che separa la realtà dal sogno, o meglio, dall’incubo.
Spazi costruiti con i calcoli perfetti di un architetto di lungo corso, volte altissime, muri robusti e, soprattutto, scale bellissime e ingannatrici: ram- pe che si intersecano tra loro, anticipatrici di moderne soluzioni abitative, che promettono viaggi verso la libertà ma poi tornano indietro riportando al punto di partenza il malcapitato che, percorrendone i gradini, ha osato anche solo immaginare un futuro diverso. No, per quanto la si cerchi, non c’è via di uscita.
È un mondo geometrico perfetto, ma che conduce a proporzioni errate, così come paradossale è la moltitudine di omini impotenti di fronte a tanta crudeltà. “Il vero orrore delle carceri più che in alcune misteriose scene di tortura, è nell’indifferenza di quelle formiche umane erranti in spazi immensi, e in cui diversi grup- pi non sembrano quasi mai comunicare tra loro, o neppure accorgersi della loro rispettiva presenza, e addirittura non notare affatto che in un angolo oscuro si sta suppliziando un condannato»: queste le parole di Marguerite Yourcenar per descrivere quella che si configura sempre più come una denuncia delle storture della societàcontemporanea a Piranesi. E allora non si può non pensare che solo tre anni più tardi la seconda edizione delle Carceri, nel 1764, Cesare Beccaria darà alle stampe il celeberrimo “Dei delitti e delle pene”, vera presa di posi- zione contro la tortura e la pena di morte, lo stesso anno in cui Sir Horace Walpole pubblicherà “Il Castello di Otranto”, primo romanzo gotico dalle atmosfere identiche a quelle piranesiane
Precursore dei tempi, interprete di un sentimento comune, o solo un folle visionario?
Una volta qualcuno lo sentì dire “Se mi venisse ordinato il progetto di un nuovo universo, sarei così pazzo da concepirlo”; le Carceri inventate da Pi- ranesi sono, al contrario, i mondi allucinati che ogni epoca è capace, quelli sì, di costruirsi da sola.
L’artista
GIOVAN BATTISTA PIRANESI (Mogliano Veneto 1720 – Roma 1778) è una figura d’artista e incisore che dall’epoca e dagli ambiti nei quali esercitò allora la propria influenza e fascinazione ha travalicato i secoli, e reca vivo e affasci- nante spunto di riflessione ancora oggi.
La sua vastissima produzione di rappresentazioni e rein- terpretazioni della grandiosità di Roma antica, insieme al suo contributo alla espansione della cultura antiquaria del secondo Settecenteo (comprese le relative polemiche) è ineguagliabile, e ha fatto della sua personalità un tema di continuo approfondimento.
Nel panorama dei suoi numerosissimi volumi con incisioni un posto particolare nella storia della cultura, e non solo quella artistica, spetta a queste sue stampe dedicate ad una invenzione di luoghi insieme inferi e architettonici: ambiti di supplizi e carceri.
La storia artistica ed editoriale di questi sorprendenti fogli è complessa, ma merita di essere riassunta per compren- dere meglio quanto qui si osserva.
Una prima redazione delle lastre va datata intorno al 1747- 1750, ancora nel segno di una tradizione incisoria di im- pronta veneziana.
Radicale invece è la rivisitazione dei rami prima del 1761, allorché ne apparve l’edizione definitiva qui in mostra. La dilatazione delle strutture architettoniche (con le relative sbalorditive incongruenze), la maturazione tecnica dal punto di vista incisorio (che accanto al rinforzo della tecni- ca dell’acquaforte vede l’uso del bulino per accentuarne la forza del nero), oltre all’aggiunta di due nuove tavole (nn. 2 e 5), ne modificano e potenziano radicalmente l’impatto, e danno avvio a una ancora inesausta esegesi, ed a numero- sissime interpretazioni moderne.
Questa serie completa della seconda versione delle Carceri d’invenzione qui esposta è stata messa a disposizione da un collezionista bergamasco, e rappresenta una tiratura precoce dei rami (probabilmente tra la metà degli anni Sessanta ed i primi Settanta del Settecento), dunque con caratteristiche di ‘freschezza’ delle lastre che offre ottima testimonianza dell’efficacia del segno del maestro nella sua fase matura.
Opere in mostra
Tavola 1 (frontespizio)
Interno di prigione.
Il frontespizio della seconda edizione delle Carceri varia sostanzialmente l’immagine dell’edizione precedente attraverso l’amplificazione dei piani, alla dinamicità dell’insieme e alla funzione strutturale del titolo nel gioco delle architetture dalle quali risulta inglobato e che lo assorbono senza limitarne il campo.
Tavola 2
Arcate, torri, frontone e, in primo piano, supplizio di un condannato.
Insieme alla tavola 5 viene realizzata da Piranesi per l’edizione del 1761 e appartenente alla maturità dell’artista. Lo spazio infinitamente dilatabile è organizzato attorno allo spettacolare incrocio di due diagonali che destrutturano il rapporto pieni-vuoti, interno-esterno. L’accumulo di frammenti antichi e l’effetto del ‘fuori scala’ reinventano la rappresentazione dell’antichità da veduta a visione.
Tavola 3
Grandi archi poggiati su un pilastro con una finestra a inferriata, a sinistra una forca.
Lo spazio è posto in rotazione perpetua attorno a un grande pilastro circolare protagonista della scena. La tecnica incisoria, nella quale la punta metallica è utilizzata come una penna, accentua gli effetti di chiaroscuro e la sensazione di pericolo e pena.
Tavola 4
Grande arcata attraversata da funi, nello sfondo arco con fregio di figure scolpite, bracieri e torce.
Gli effetti di suggestione e di mistero sono prodotti dalla frammentazione delle direttrici e dal gioco delle diagonali. Gli strumenti di tortura posti alla base dell’immagine esplicitano e accentuano il senso tragico della raffigurazione.
Tavola 5
Fuga di arcate, catene, cordami e una lanterna. In primo piano leoni e figure varie in bassorilievo.
Coma la tavola 2 viene realizzata per l’edizione del 1761. Anche in questa incisione si trovano, nella concezione delle architetture e nei particolari delle antichità e delle figure che pongono in dialogo le conoscenze archeologiche, le molte testimonianze antiche visibili a Roma e gli studi di prospettiva e di scenografia di Piranesi.
Tavola 6
Archi e volte, nel centro figurine attorno a un fumo bianco, a sinistra una grossa carrucola.
L’architettura d’invenzione, pur nella genericità priva di specifici elementi di connotazione, è tuttavia totalmente ‘romana’. La grande nuvola di fumo bianco acquisisce nell’edizione del 1761 identità propria e autonoma.
Tavola 7
Passerelle, ponti levatoi in controluce, scale a spirale, una garitta, fascio di corde appese ad una puleggia.
Lo slancio ascensionale della composizione è dettato dal grande pilastro centrale attorno al quale si snoda la scala circolare e che raccorda gli incroci delle passerelle. Punto di massima tensione è il ponte mobile diviso in due e sospeso nel vuoto tramite grosse funi.
Tavola 8
Scalone con trofei alla base entro alte arcate, due bandiere accoppiate, figure.
Anche in questo carcere torna il ponte ligneo con spuntoni. La composizione è fortemente policentrica e sembra dilatare all’infinito la concatenazione delle architetture.
Tavola 9
Portale ciclopico, sovrastatato da una grande struttura circolare, oltre la quale si vedono travature e fumo.
Nonostante i pochi elementi in gioco la composizione crea un effetto di inquietudine amplificato dalla giustapposizione dell’architettura della poderosa porta con lo sfondato sopra- stante che sembra risucchiare la luce.
Tavola 10
Grande arco, gruppo di condannati incatenati ad un patibolo, catene e lampade. Passerelle con figure.
L’inquadratura attraverso un’arcata, diffusa nel vedutismo del secolo Settecento, è un espediente per indirizzare la percezione verso lo spazio centrale della vastissima sala nella quale irrompe la drammatica piattaforma con le figure incatenate.
Tavola 11
Quattro garitte agli angoli di un’arcata, travi, cordami.
Questa lastra subisce le maggiori trasformazioni rispetto a quella dell’edizione precedente e definisce il passaggio delle ambiguità spaziali alla totale assenza di spazialità riconducibili alla realtà. Tutti gli elementi concorrono a dilatare infinitamen- te gli spazi e la percezione dell’insieme.
Tavola 12
Scale, strumenti di tortura, archi con inferriate, monumento funebre.
Questa tavola consente di apprezzare gli effetti di luce ottenuti da Piranesi con il nuovo trattamento incisorio della lastra: la radicalizzazione dei contrasti luce-ombra rende abbacinanti i bianchi che si contrappongono alla densa materia del controluce e accentua i valori espressivi dell’immagine.
Tavola 13
Grossi archi di pietra contiunti da travature, catene, infer- riate. In alto ruota con aculei, finestra ovale con inferriata, a sinistra lampada che pende da una forca.
Protagonista della composizione è la luce abbagliante che proviene da sinistra, che segna l’uscita dal mondo infero caratterizzato dagli strumenti di tortura, e si dilata nello spazio aperto in un susseguirsi di elementi architettonici.
Tavola 14
Prospettiva di volte, passerelle, scale, pilastri.
La tavola presenta una potente incongruenza spaziale nel gioco e nel rimbalzo degli elementi architettonici. Inconsueto per Piranesi maturo è invece un pittoricismo più tradizionalmente scenografico.
Tavola 15
Pilastro centrale con bassorilievo a figure e quattro mascheroni con anelli.
La dinamicità dello spazio e dell’architettura, insieme al chiaroscuro, raddoppiano la percezione spaziale e la forza evocativa della composizione. La grandiosità e assertività delle forme e delle strutture architettoniche evocano direttamente l’antica Roma.
Tavola 16
Passerella vista dal basso appoggiata ad un grosso pilastro a sinistra. Al centro stele con due teste in una nicchia e la scritta “Impietati et malis artibus”, dietro, colonne con iscrizioni.
La composizione è un manifesto dei nuovi contenuti alla base dell’edizione del 1761 e legati a Roma antica. Non solo lo spazio fisico si fa psichico, ma il legale con i valori e i temi dell’architettura dell’antica Roma esplicitano la po- sizione di Piranesi (in contrapposizione con Winckelmann e Mariette) nel dibattito contemporaneo sulla classicità tra sostenitori della superiorità dell’architettura romana su quella ellenica.